Perdere qualcuno mentre imperversa una pandemia
Inevitabilmente dobbiamo scontrarci con questo momento della nostra vita, in cui è necessario dire addio a qualcuno. Non è facile, accettarlo che accada non va di pari passo con la capacità di sopportare il dolore.
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Succede.
Inevitabilmente dobbiamo scontrarci con questo momento della nostra vita, in cui è necessario dire addio a qualcuno. Non è facile, accettarlo che accada non va di pari passo con la capacità di sopportare il dolore.
Viviamo anche un momento storico in cui siamo costretti a essere lontani quando la tecnologia di ha reso così vicini. Nel giro di poco meno di due mesi, siamo passati dalla possibilità di attraversare il mondo per andare a trovare parenti o amici, alla necessità di non uscire dalla soglia di casa.
E tutto ciò che l’occhio non vuole vedere, diventa esasperato.
La perversione e il dolore di dover dare un ultimo saluto ai propri vicini in una videochiamata. Un gelido flusso di segnali elettrici non sono in grado di trasmettere tutto l’amore che provi per una persona, né il dolore che stai provando nel vedere che si abbandona per intraprendere un nuovo viaggio.
Apprendi una notizia, ma una camicia di forza ti trattiene a urlare il dolore a migliaia di chilometri di distanza, perché non puoi fiondarti in aeroporto a prendere il primo volo per andare a stare accanto ai tuoi cari, perché non ti farebbero nemmeno passare la dogana.
Ti scontri con il terrore e la mancanza di etica di un medico legale che ha talmente paura di questa pandemia, da farla prevalere sul dolore di chi piange già straziato da un dolore che nessun analgesico può curare. E ti trovi a dover lottare con un individuo che si rifiuta di fare il proprio dovere, che ha deciso di fare per propria scelta e non per imposizione. Al punto di dover chiamare la polizia perché dovesse fare il proprio lavoro.
E affronti il dolore di non poter nemmeno andare a guardare l’ultimo viaggio su questa terra, perché le regole di restrizione proibiscono “assembramenti” di più di cinque persone alla volta.
Due mesi.
In due mesi il mondo è cambiato. Viaggiare o spostarsi, per lo più, da gioia ed eccitazione, si sono lentamente trasformati in paura. Le strade si sono svuotate, tornate ad essere grigi nastri di asfalto, deprivati di quegli sprazzi di colore in movimento. Le saracinesche dei negozi con pigri fogli di carta appiccicati che dicono “negozio chiuso per motivi famigliari” perché “ci hanno minacciato troppe volte” non è elegante né gentile.
In due mesi le nazioni prima hanno additato la Cina, accusandola delle peggio cose, poi l’Italia accusandola di essere “la nazione untrice dell’Unione Europea”. Un’Unione Europea che ha dato dimostrazione lampante di essere la cosa più disgiunta che si potesse idealizzare: nessuna unità decisionale, nessuna unità solidale, nessuna unità d’azione. Ora, come una nave con lo scafo mangiato dai tarli, naviga nel buio affondando ora dopo ora.
Oggi, 27 Marzo 2020, quella che proclama di essere la nazione più potente del mondo, è diventato in soli quattro giorni il nuovo focolaio di contagio. O, più precisamente, hanno fatto i conti con la realtà dei fatti.
Ma nel piccolo, ogni giorno a qualcuno capita di perdere un affetto. Strappato via dal COVID-19, oppure semplicemente perché ha deciso di adagiarsi, stanco di aver combattuto per anni e anni i sistemi che tutto fanno tranne che il loro lavoro: aiutare il prossimo.
Ti trovi a leggere quegli articoli in cui i volontari negli ospedali portano un tablet perché la nonna possa dare l’ultimo saluto ai nipoti prima di potersi abbandonare, stremata dalla malattia. Ci pensi e ti viene una stretta al cuore all’idea. Ti auguri di che non capiti mai a te. E quando accade, il mondo di crolla addosso, e non puoi fuggire da casa, non puoi andare a confortarti col prossimo.
Succede e basta. Già non puoi far nulla per contrastare la straziante perdita.
Oggi, puoi fare ancora meno.
A distanza.
Forse.
Se va bene.
Se i tempi e le modalità lo permettono.
Per cui ti trovi a dir loro addio.
Non potrai più sentire il calore del loro abbraccio, la luce nei loro occhi.
Saranno solo ricordi, rimarranno nei nostri cuori.
E non c’è tecnologia che possa sostituire quel vuoto nelle nostre anime.
26/03/2020 00:00:00